Mi sento di fare due premesse prima di esporre il mio pensiero su oggettività e critica videoludica. La prima premessa è che, per alcuni, ciò che andrò a esporre risulterà ovvio: concetti alla base molto semplici, ma che ho notato siano ignorati coscientemente o meno da molte persone. La seconda premessa è che risulterò didascalico, specie per quanto concerne l'oggettività, perché voglio essere il più chiaro possibile.
Detto ciò, iniziamo.
Inutile dire che l'oggettività esiste. Essa si attiene all'oggetto, in questo caso il videogioco, e ne descrive le caratteristiche che non possono essere interpretate in altro modo se non falsandole. Parliamo di dati o informazioni intrinseche al titolo. Diversi esempi possono essere: se gira a 60fps, gira a 60 fps; se l'engine utilizzato è Unreal Engine 5, non può essere il Cryengine; se il tasto quadrato ha come configurazione base quella di sparare, sparerai; se le tematiche del titolo sono solo felicità e amore, gli autori non volevano esporre tristezza e odio.
Fin qui ho detto fin troppe ovvietà. L'oggetto è tale, un concentrato di dati e caratteristiche che esulano dall'interpretazione del singolo o massa di persone. Come la Terra tonda, puoi dire che è piatta, ma non è piatta perché si può provare che è tonda. Quindi tutto ciò che concerne l'oggetto è oggettivo (wow). Tuttavia non è oggettiva la valutazione che noi diamo al videogioco.
La soggettività è tutto ciò che è fuori dall'oggettività. Ognuno di noi può vedere, apprezzare o meno i vari elementi che compongono un videogioco. La valutazione che ne diamo dipende da numerosi fattori che ci riguardano personalmente: dove e in che anno siamo nati, la nostra personalità e il nostro carattere; come e con chi siamo cresciuti, cosa abbiamo studiato, la cultura del periodo, gli interessi e i gusti: tutto Substack non basterebbe per evidenziare quante variabili sarebbero possibili per descrivere da dove deriva un nostro giudizio. La valutazione non è un fatto o un dato, è espressione di noi stessi. Si possono avere pareri che combaciano con altre persone? Certamente può succedere. Non rende la valutazione oggettiva, ma intersoggettiva. Magari ci facciamo influenzare, o semplicemente i gusti sono simili. Ognuno di noi è diverso dall'altro, non una singola persona è identica all'altra, ma più persone possono vederla in una precisa maniera seppur con diverse sfaccettature. È una cosa positiva per noi perché ci sentiamo vicini agli altri, consolidati, addirittura capiti. Chi la vede come noi ci fa stare bene, ma finisce lì.
Qualsiasi cosa che sia interpretativa, è soggettiva per sua stessa natura.
Una questione molto cara ai recensori è “la ricerca dell'oggettività”, dicasi anche “avvicinarsi il più possibile all'oggettivo”, nel giudicare un videogioco. Non ha alcun senso. Non c'è nulla da ricercare, se non i meri dati e componenti dell'oggetto, perché non c'è nessuna comprensione intrinseca della valutazione affinché sia bello o brutto. E non ci si può avvicinare all'oggettività, a una comprensione parziale in modo che la nostra opinione sia in parte oggettiva. Un elemento o è oggettivo o non lo è, l'oggettività parziale non esiste.
Dal recensore all'influencer per passare al tizio qualunque sui social, quasi tutti sono fissati nel cercare la valutazione oggettiva di una determinata arte. Probabilmente perché cercano di avvalorare la loro tesi, dandole una sorta di autorevolezza e verità.
Io la chiamo insicurezza.
Il videogioco è espressione di uno o più sviluppatori, tentare di giudicare in maniera netta e inequivocabile ciò che merita e ciò che non merita è pericoloso. Come a voler dare delle linee guida all'arte, minando la creatività. Ciò parassita ogni discussione e danneggia il medium videoludico.
La critica attuale ha lo scopo di recensire e giudicare il lavoro degli sviluppatori, dando opinioni e voti con un certo grado di autorità sulle testate in cui scrivono o nei loro canali social. L'influenza viene inserita nelle premiazioni o sul famoso sito Metacritic che fa le veci di aggregatore di voti con una media del giudizio di molti recensori. Ma ne abbiamo davvero bisogno? Perché mai la critica deve fermarsi a giudicare cosa è meritevole della nostra attenzione? Dobbiamo davvero dare importanza a un numeretto per sentirci bene col nostro acquisto?
L'importanza di recensioni, Metacritic e premi come li conosciamo ha un solo scopo: il consiglio per gli acquisti. Che siano infilate nel marketing di un titolo, ignorate o ristrette a una cerchia, le recensioni non rivestono altro che questo ruolo nonostante non siano più così rilevanti: le pubblicità e gli influencer hanno più appeal nel mercato moderno.
Le recensioni servono a dar manforte alla narrativa del titolo di qualità, una giustificazione all'attenzione che certi titoli devono avere. La copertura del titolo pre-durante-post del videogioco con approfondimenti e recensioni attirano e fanno parlare del prodotto: ancora peggio, i voti fanno parlare molto di più. Le discussioni, gli elogi e le indignazioni avvengono più per il numeretto a fine analisi che per il corpo della recensione stessa. Un disservizio ai recensori, che potrebbero quasi smettere di scrivere. I voti sono troppo importanti a livello mediatico, impossibile distaccarsene: sanciscono il giudizio e inquinano le discussioni; come se avessero davvero un senso e non fossero una summa minuscola impossibile da quantificare e diversa da persona a persona perfino nel loro significato. Chi legge quasi in ogni caso non conosce neanche la linea editoriale e la scala di valori del recensore, e lo leggerà sempre secondo il suo punto di vista. Chi capita sulla recensione di solito utilizza il voto per avvalorare la sua opinione, in modo da giustificare i soldi spesi. L'utente è insicuro su come passare il proprio tempo.
Nel bel mezzo del marasma della critica, è impossibile non parlare del conflitto di interessi. Influencer, recensori, testate ci sguazzano tra press tour, key per recensire, gadget e quant'altro. Per non parlare di articoli, video e live sponsorizzati dalle aziende nello stesso settore che dovrebbero criticare. Una “critica videoludica” sana, non c'è che dire.
Ci piace davvero farci prendere in giro? Fa estremamente comodo ricevere supporto dalle aziende: che sia monetario, un accesso anticipato o il non dover pagare per i videogiochi. Porta più click correre a scrivere la recensione rispettando l’embargo che prendersi il proprio tempo e approfondire quanto un gioco ci ha lasciato.
Le aziende si cibano dei favori migliori, ignorando tutto il resto, mostrando bellamente banner con citazioni della stampa e voti dal 9 al 10. Un carosello di imbarazzo di quello che vorrebbe essere critica, ma invece è solo una vetrina per i videogiochi del momento che devono essere spinti al maggior numero di copie vendute. Una autorità alla mercé dell'attenzione a tutti i costi e del compiacimento delle compagnie videoludiche.
Lavoro, sì; critica, no.
Come ciliegina sulla torta, le recensioni attuali sono superficiali e superflue. Il “recensionese” è una malattia da estirpare. Critiche spesso tutte uguali, terminologie riciclate, elogi triti e ritriti. Meme viventi, e non in senso positivo.
Nessuno ha realmente bisogno di farsi dire dagli altri cosa è bello e cosa non lo è. Né dai recensori o influencers, né da un John Doe qualunque sui social: solo noi sappiamo cosa ci ispira interesse, cosa ci piace davvero.
Prendere seriamente le recensioni e farci condizionare dal parere di un terzo è un’illusione che ci conforta, che ci culla in un un senso di tranquillità, effimero, che addormenta il giudizio personale. Vi sarà mai capitato di essere in disaccordo (magari non aprioristicamente) con una recensione, no? Che la vostra opinione fosse diversa o addirittura diametralmente opposta alla media di Metacritic? Pensate davvero che voi abbiate ragione e i recensori torto o viceversa? Siamo semplicemente persone diverse, e in quanto tali non esiste il bello o il brutto in maniera assoluta, solo il giudizio frutto delle nostre esperienze. Non è un problema e non c'è una quadra da cercare. Se volete seguire i consigli di amici o persone che reputate abbiano gusti simili ai vostri, è più che legittimo: lo fa chiunque.
Ma non appoggiatevi mai totalmente alla visione esterna alla vostra: solo voi sapete cosa merita la vostra attenzione. Se vi fidate ciecamente del parere altrui, annullate voi stessi e potreste trovare una delusione dietro l'angolo, alimentata anche dalla cultura dell'hype; acquista il nuovo prodotto, sii eccitato per quello che verrà. Un uroboro malsano che annulla il vostro spirito critico.
Abbiate rispetto del vostro tempo e del vostro denaro.
Siate coscienti dell'ambiente che vi circonda e di ciò che volete davvero. Informatevi con calma, non correte all'acquisto compulsivo. Non significa che andrà sempre bene, perché prima di provare qualcosa si resta nel dubbio, ma saranno soldi e tempo ben ponderati.
La domanda sorge spontanea: cosa dovrebbe fare la critica? Cos è la critica? Non credo sia un errore giudicare un titolo e argomentare con cognizione di causa la propria visione, ma crea solo uno schema su cosa pensiamo funzioni e cosa no, su cosa ci piace e non ci piace, perlopiù fine a se stesso.
Non sono neanche consigli spassionati agli sviluppatori, piuttosto giudizi sul loro operato. La critica dovrebbe essere molto di più, o essere tutt'altro, senza ancorarsi al videogioco del momento, ma avere la libertà di ripercorrere qualsiasi opera o argomento videoludico, priva di pressioni esterne e soprattutto indipendente.
La critica dovrebbe concentrarsi sul creare discussioni, argomentare punti di vista differenti, allargare i discorsi oltre le mere valutazioni da bar. Dare al fruitore dei mezzi affinché possa vedere oltre la propria visione ed espandere i propri orizzonti, non confermare i propri bias: il videogame è espressione di noi stessi, un veicolo della nostra persona. Cosa ci ha detto quel videogioco? Cosa ci abbiamo visto? Come ha influenzato una determinata meccanica il nostro gradimento? Perché quella tematica ci riguarda? Perché pensiamo sia riuscito nel suo intento? Cosa reputiamo deleterio?
Sia chiaro, una critica seria e argomentata può basarsi anche solo su un punto, che sia un elemento di gameplay preponderante nello scorrere del videogioco o una tematica narrativa presente in un inframezzo di cinque minuti. Anzi, meglio così, in modo da concentrarsi del tutto su un singolo discorso. Così da discuterne, donare una visione diversa ai fruitori, sviscerare un elemento specifico, narrare cosa è significato per noi. Il videogioco è ben oltre il piacere: il divertimento e la gioia possono anche non esserci. È più importante capire perché una cosa ci piace piuttosto che dire che ci piace. Perché solo in questo modo si intavola una discussione e possiamo aprire noi stessi, e aprirci al prossimo.
I giudizi e i numeretti vanno pure bene, ma smettiamola di trattarli come punto focale: non carichiamoli di un’importanza che concretamente non hanno, se non nel marketing delle aziende o pourparler. Uno scherno alle opere, agli autori e a noi stessi.